Siamo noi stessi i limiti per i nostri sogni, al pari di quanto siamo noi stessi i geni che li potranno esaudire.

Roberta la Viola

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lunedì 10 marzo 2014

Rassegnazione

Ecco la ParolaNuda: rassegnazione

La Treccani la spiega con le parole che seguono: Accettazione della volontà altrui anche se contraria alla propria; disposizione dell’animo ad accogliere senza reagire fatti che appaiono inevitabili, indipendenti dal proprio volere.

Mi piacerebbe soffermarmi proprio sulla seconda parte.
Mi è capitato negli utlimi giorni di occuparmi di colloqui di selezione e, purtroppo, ho riscontrato che buona parte dei candidati presentatisi al colloquio ha negli occhi e nelle parole proprio quello stato di rassegnazione che fa rinunciare e non lascia intravedere possibilità.
Proprio questa esperienza mi ha fatto pensare che ci si è rassegnati a tal punto che ogni settore viene definito come il più maltrattato dalla crisi, ognuno esprime il proprio parere a riguardo, con un fattore comune che contraddistingue in maniera evidente ogni parlante, come se vi fosse un marchio di fabbrica, un marchio che dice RASSEGNATO!
Rassegnato all'impossibilità di trovare lavoro, rassegnato all'idea che non è possibile desiderare il lavoro ideale, rassegnato all'idea che il territorio non aiuta, rassegnato all'idea che non ci è dato di progettare, insomma "rassegnato e basta".


Voglio provocare, voglio smuovere questi animi, voglio vederli impegnati nella ricerca di soluzioni possibili.
Ne ho parlato spesso in queste pagina, la chiarezza degli intenti, la capacità di saper decidere.
Spesso durante il colloquio chiedo: "cosa vuole fare da grande?"
Le maggiori risposte che ottengo iniziano così: "io avrei voluto fare ...".
Eppure io ho chiesto "cosa vuole fare" e non "cosa avrebbe voluto", allora mi accorgo che pieni di rimpianti ci muoviamo nel mondo della rassegnazione a tutti i costi.
Ci affidiamo ai consigli di altri, ci scopriamo rinunciatari a priori, lontani dalla possibilità di sperimentare direttamente, alla fine rimpiangiamo anche l'aver seguito il consiglio ricevuto.
Una volta è la scuola, una volta è l'università, un'altra ancora il trasferimento per lavoro o il lavoro stesso.
Allora chiedo in questo momento: a cosa ci serve la rassegnazione?
Dove mi può portare?
Cosa aggiunge questo stato, se non la certezza di non uscire e non riuscire?
La sicurezza di non vedere possibilità alcuna.
Se le vostre parole denunciano la vostra stessa rassegnazione, ri-prendetevi, progettate, sognate e liberatevi dai limiti che avete posto a voi stessi.
Chiedetevi ancora cosa vi piacerebbe fare e programmate le azioni per farlo, proprio nei post precedenti abbiamo affronato il tema della chiarezza degli obiettivi e delle tre domande che aiutano a stabilire il percorso da intraprendere:
Cosa?
Come?
Quando?

La bella notizia è che anche la durata di uno stato d'animo come la rassegnazione dipende da noi, comprendere l'inutilità è molto utile, smettere è questione di scelte.

C'è anche un'altra bella notizia, ho incontrato tante persone in questi giorni, e non tutte mi hanno trasmesso la rassegnazione, molte altre mi hanno fatto vedere la volontà, la determinazione a fare meglio e la capacità di programmare il proprio futuro pur consapevoli delle difficoltà.
Del resto, se il territorio di provenienza è lo stesso, quello delle tante persone incontrate, come mai c'è chi vive la rassegnazione e chi invece la vince?

L'esperienza non è ciò che accade a un uomo. È quello che un uomo fa con ciò che gli accade.
                                                                                                                      Aldous Leonard Huxley 

da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/aforismi/comportamento/frase-49594>

2 commenti:

  1. E' la seconda volta che le tue osservazioni mi fanno venire in mente un racconto di Bucay. Spero non ti dispiaccia se ne pubblico un altro. Saluti.


    LE RANOCCHIE NELLA PANNA

    (da: "Déjame que te cuente" di Jorge Bucay - )

    C'erano una volta due ranocchie che caddero in un recipiente di panna. Immediatamente intuirono che sarebbero annegate: era impossibile nuotare o galleggiare a lungo in quella massa densa come sabbie mobili. All'inizio, le due rane scalciarono nella panna per arrivare al bordo del recipiente però era inutile, riuscivano solamente a sguazzare nello stesso punto e ad affondare.

    Sentivano che era sempre più difficile affiorare in superficie e respirare. Una di loro disse a voce alta:

    - «Non ce la faccio più. E' impossibile uscire da qui, questa roba non è fatta per nuotarci. Dato che morirò, non vedo il motivo per il quale prolungare questa sofferenza. Non comprendo che senso ha morire sfinita per uno sforzo sterile».
    E detto questo, smise di scalciare e annegò con rapidità, venendo letteralmente inghiottita da quel liquido bianco e denso.

    L'altra rana, più perseverante o forse più cocciuta, disse fra sé e sé:

    - «Non c'è verso! Non si può fare niente per superare questa cosa. Comunque, dato che la morte mi sopraggiunge, preferisco lottare fino al mio ultimo respiro. Non vorrei morire un secondo prima che giunga la mia ora». E continuò a scalciare e a sguazzare sempre nello stesso punto, senza avanzare di un solo centimetro. Per ore ed ore! E ad un tratto... dal tanto scalciare, agitare e scalciare... La panna si trasformò in burro. La rana sorpresa spiccò un salto e pattinando arrivò fino al bordo del recipiente. Da lì, non gli rimaneva altro che tornare a casa gracidando allegramente.

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  2. Mi fa molto piacere e me ne faresti di più se ti firmassi, anziché rimanere "anonimo".
    Ancora grazie per il commento molto azzeccato!

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