Siamo noi stessi i limiti per i nostri sogni, al pari di quanto siamo noi stessi i geni che li potranno esaudire.

Roberta la Viola

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martedì 28 maggio 2013

"Sul danno e l'utilità della storia per la vita"

Il post di oggi prende in prestito un titolo da uno dei più grandi filosofi di tutti i tempi, Nietzsche.
Come dicevo però è solo un titolo preso in prestito, perché ciò che vorrei trattare oggi non è esattamente ciò che trattò Nietzsche, piuttosto è un argomento affrontato già in passato su questo blog da altri punti di vista.
Il post di oggi è anche un dono per quelli che amano le letture brevi brevi ...
La storia, quella di tutti i giorni, ma anche quella che troviamo scritta sui libri, dovrebbe aiutarci a comprendere.
Chi non ha mai sentito dire "sbagliando si impara!"?
Quante volte abbiamo sentito qualcuno pronto a ricordarci che dai nostri errori possiamo imparare qualcosa?
Eppure sembreremmo spesso pronti a ripetere gli stessi pensieri, le stesse azioni e quindi anche gli stessi risultati.

Eh già, troppo spesso ci concentriamo sul risultato, sull'errore, su ciò che abbiamo concluso alla fine di un percorso che è partito da un pensiero ed è passato per un'azione.

Allora il punto cruciale è proprio questo, quando mi concentro sul risultato, quando ciò che riesco a fare è guardare ciò che ho prodotto, senza soddisfazione, per realizzare qualcosa di diverso dovrò partire dall'inizio, ossia dal pensiero che mi ha condotto a quel risultato.

Invece, per tanti motivi la cosa che ci viene più facile è concentrarci sul risultato....cambiare prospettiva ancora una volta vuol dire partire da altrove, cambiare qualcosa.

Allora, concentratevi qualche minuto, pensate al risultato che a malincuore state producendo all'infinito, qual è la cosa che più spesso vi trovate ad affrontare come frutto delle vostre azioni e che proprio non vorreste rivedere mai più?

Certo, c'è un punto zero: sentire che quel risultato che avete di fronte è prodotto da voi, e non da
qualcun' altro o da situazioni esterne, quindi fate questo passo e cercate ...trovato?

Bene, il passo necessario è vedere il risultato ottenuto, sapere che non è ciò che avreste voluto ottenere, ed ora visualizzate l'azione che vi ha condotto a  tale risultato e, ancora, cosa c'è dietro questa azione?
Qual è il pensiero che vi induce ad agire in tal senso?

Bene, ora che lo avete trovato, cestinatelo, non vi serve e ne avete anche la prova!

Non vi è servito fin'ora e, se dovesse servirvi, saprete dove cercarlo: nel cestino delle cose inutili.



Ora riconcentratevi e pensate: quale pensiero, convinzione, credenza possa aiutarvi ad agire in un altro modo, al fine di ottenere il risultato desiderato?

C'è una cosa che potrà aiutarvi in questo passaggio, se nella vostra testa non riuscite a trovare un pensiero differente, cercate nei pensieri di qualcun' altro, cercate nelle idee di chi è riuscito ad ottenere ciò che ha desiderato.


Una volta trovato il pensiero che potrà aiutarvi in questo nuovo percorso, non dovrete far altro che iniziare ad agire spinti da questa idea, ciò che verrà dalle vostre azioni ha ottime possibilità di essere ciò che avete desiderato.




lunedì 27 maggio 2013

Emozioni

Ancora una volta, mi è capitato di portare in aula questo argomento, ed ancora una volta un dato si è esplicitato: la maggior parte di noi sperimenta la necessità di nascondere le proprie emozioni, emozioni che volontariamente celiamo perché ...  le risposte sono tante, c'è chi dice che sarebbe disdicevole, o chi ha accettato la cultura de "i bambini si baciano mentre dormono".



Insomma sperimentiamo spesso questa necessità del nascondere agli altri ciò che proviamo, come dire è sconveniente farsi vedere in lacrime, è sconveniente dire ciò che si è provato, è sconveniente aprirsi e raccontare all'altro ciò che ho sentito in una determinata situazione.



Qualunque sia il motivo per il quale decidiamo spesso di non accogliere e vivere apertamente le nostre emozioni, certamente è necessaria una rieducazione che ci aiuti a vivere meglio gli stati emozionali che in ogni istante di ogni singola giornata pervadono il nostro corpo e il nostro animo.

Del  resto, anche chi decide di sminuire i propri stati emozionali, di non accettarli, in realtà rifiuta ciò che non può non vivere e sentire, le emozioni sono la conseguenza imprescindibile di ciò che dall'esterno e da ogni parte arriva ai nostri recettori.
Possiamo controllarne l'insorgenza? Decisamente no.
Possiamo gestirne però la durata, l'intensità, questo sì.

Erroneamente, si è spesso convinti che imparare a gestire le emozioni sia corrispondente ad una snaturalizzazione del nostro sentire, mentre imparare a gestire significa sentire e godere delle proprie emozioni, senza soccombere ad esse, proprio quando si tratta di emozioni negative che ci indurrebbero a comportamenti indesiderati.
Insomma, chi rifiuta le proprie emozioni, credendo che siano inutili, in qualche modo sta affermando che esse non siano invece la spinta per i nostri comportamenti.
Ciò che facciamo è in larga misura la conseguenza di ciò che abbiamo provato un instante prima di agire.

Accettare, riconoscere, accogliere e poi gestire i propri stati emozionali, significherebbe vivere serenamente la relazione con noi stessi, imparare a conoscerci meglio.
Fare questo porterebbe anche ad un'altra piacevole possibilità: migliorare le nostre relazioni all'esterno, migliorare i rapporti con le persone che frequentiamo ogni giorno.
Le emozioni, un argomento infinito dalle infinite riflessioni, e come sempre preferirei non dilungarmi oltre.
Chiuderei questo post con una frase meravigliosa, già inserita nella sezione "In prestito da ..." e questa volta il prestatore silente è Aristotele con:

La felicità è un segno di potenza.




sabato 11 maggio 2013

"Noi cerchiamo la bellezza ovunque."



Cosa facciamo quando sentiamo che qualcuno ci sta facendo del male?
Come reagiamo quando ciò che stiamo vivendo è una violenza, o almeno è ciò che percepiamo nel comportamento di una persona, con cui purtroppo dobbiamo avere a che fare?

Penso a quelle situazioni in cui spesso siamo costretti a rimanere, un condominio, o un contesto lavorativo.
Ci sono delle situazioni in cui volenti o nolenti siamo costretti a vivere.
Ci sono delle situazioni in cui non possiamo scegliere chi frequentare, o meglio chi incontrare ogni giorno.
E' appunto il caso di un condominio in cui gli inquilini che occupano gli altri appartamenti non gli abbiamo potuti scegliere, vivono lì anche loro e non possiamo fare molto se non ci piacciono.
Ma se una situazione dovesse degenerare, se ciò che dovessi arrivare a sentire è proprio quella sensazione di violenza?
Intendo per violenza quella verbale, o quella dell'invasione della privacy, quella di un rumore molto fastidioso che tutti i giorni sono costretto a sentire.

Insomma, la domanda che mi faccio oggi è: cosa fare quando sento che qualcuno sta danneggiando la mia serenità, nella quotidianità che vivo in un determinato contesto?

E' frequente la situazione del condominio che diventa un postaccio in cui le persone arrivano a conflitti beceri, a situazioni anche spesso drammatiche, o anche i contesti lavorativi in cui si diventa incoscienti e aggressivi, proponendo strategie di mobbing, o ancora, i cosiddetti casi di bullismo riscontrabili nelle scuole.

Sembrerebbe che l'uomo, messo a stretto contatto coi suoi simili, possa sviluppare dinamiche relazionali che lasciano pensare di non essere affatto quella specie "superiore" dotata di un cervello ben funzionante.

Anche in questo caso non voglio chiedermi il perché ciò avvenga, le origini possono essere molteplici e si potrebbe arrivare ad interpretazioni infinite.
Pertanto, ciò che invece vorrei affrontare qui è come reagire, cosa fare per poter vivere nel miglior modo possibile questo tipo di situazioni problematiche.
E' un fatto pensare che sia impossibile cambiare gli altri, giacché ognuno sceglie per sé il proprio cambiamento, quando intende realizzarlo.
Quindi, cosa rimane nella vetrina delle scelte possibili?

Io credo che si possa, anche qui, decidere di partire da noi stessi, se ciò che stiamo vivendo ha un peso che percepiamo in maniera profonda, un disagio che lede il nostro benessere psicofisico, il lavoro da iniziare dovrà centrarsi su noi stessi.
Gestire il nostro modo di reagire a ciò che ci accade è il punto zero per iniziare a stare meglio, a non permettere ad altri di interferire sul nostro diritto di stare bene e in armonia.

Vi sto proponendo una difficile soluzione, ma non impossibile.
Qualcuno ha scritto che il conflitto è sempre generato dalla scarsità, che in questo modo nasce nella testa di chi partecipa a tale degenerazione delle relazioni.

Io dico che la scarsità così come l'ignoranza, intesa come l'atteggiamento di ignorare, e quindi non come una questione di carattere culturale, siano le madri di conflitti e comportamenti che rendono la specie umana tra le più disprezzabili, soprattutto perché dotata di capacità di ragionamento.

Sono tante le tecniche utili per poter migliorare ed uscire da una situazione difficile come quelle descritte poc'anzi, sarebbe riduttivo e difficile poterle affrontare appieno in questo spazio virtuale.
Ma se ciò che vi sta logorando è una situazione in cui vi sentite costretti, in cui sentite che il vostro spazio vitale stia venendo meno, lasciatevi guidare e cercate qualcuno che possa aiutarvi a stare meglio, aprite la vostra mente e il vostro cuore a nuove possibilità.


Spesso non riusciamo a vederne, e ci convinciamo che l'unica cosa sia ricambiare con la stessa moneta, anche quando in realtà sappiamo di non essere fatti per certe azioni.
Quindi non lasciamo che altri decidano per noi, non diamo la possibilità a nessuno di tirare fuori il peggio di noi, quello che neanche pensavamo di possedere.
Lasciamo che siano gli altri a "sporcarsi le mani", noi cerchiamo la bellezza, quella degli atti di gentilezza e dell'armonia, dell'equilibrio che ci rende imperturbabili di fronte ai soprusi che arrivano da fuori.

Questo post è dedicato a tutti quelli che hanno deciso di rimanere puliti, nonostante lo sporco dell'ignoranza che circola troppo liberamente, ed anche me.





martedì 7 maggio 2013

La terra sotto i piedi


Quante volte abbiamo sentito la frase "Mi è mancata la terra sotto i piedi"?
 
Quante volte, pur senza aver sentito queste parole, abbiamo provato la sensazione di smarrimento e di vuoto che questo modo di dire descrive molto bene.
La metafora è perfetta, sentire che qualcosa di fondamentale sia venuto meno, del resto se non ho la terra dove posso mai esistere, non siamo in grado di volare e a qualcosa dobbiamo tenerci, su qualcosa bisognerà appoggiare i nostri piedi.
Chi si sente, in questo momento, proprio in questo stato?
Beh, la prima cosa da sapere è che questa sensazione è una fase, non sarà sempre così.
Qualunque sia il motivo che abbia stimolato in voi questo stato d'animo, qui non conta, ciò che importa è sapere che come tutti gli stati d'animo si tratta di un passaggio, a volte necessario, ma certamente non perenne.
Da chi dipende? Da noi, da quanto abbiamo deciso di farlo durare.
L'ultima volta che vi siete sentiti in questo modo, pensate, cosa avete fatto per uscire da questo stato e risentire di essere di nuovo con la terra pronta a sostenere il vostro peso, la vostra stessa esistenza?
Forse penserete che stia blaterando, per fortuna non è questo il caso.
Semplicemente, sto ricordando a tutti noi che gli stati d'animo, le emozioni, sono passeggeri, sopraggiungono, ci travolgono a volte, altre ci sfiorano appena, ma ciò che le caratterizza è anche il fatto che, come le nuvole, vanno via e mutano e si trasformano per diventare qualcos'altro.
Non solo, se vorrete, potrete trasformarla già da ora, dipende da voi.

Allora se questa è la sensazione, lo stato d'animo che in questi momenti vi pervade e vi stravolge, più che travolgervi, la prima cosa che potete fare è pensare, sapere che tra non molto andrà via.

Poi forse potrà ritornare se non avrete risolto la situazione che ve la risuscita, allora saprete che dovrete anche iniziare a fare altro, ma ricordiamoci, sta a noi spazzarla via come il vento porta via le nuvole.

La terra sotto i piedi può mancare per tanti motivi: sono le abitudini che avevo acquisito e che sono costretta a lasciare perché qualcosa è cambiato.
E' un amore che è andato via, e anche se so che è lo cosa giusta, sento che la terra sotto i piedi è andata via con lui, o forse ho semplicemente paura del nuovo che avanza e non mi sento pronta ad accettarlo.

Insomma, la terra sotto i piedi può mancare, o almeno è così che ci sentiamo, altre volte forse siamo noi che veniamo meno a noi stessi, i nostri piedi sono assenti come tutto il corpo che contribuisce alla nostra stessa esistenza.
Ripartire da noi, dalla nostra unicità, dal nostro valore, può rimetterci in contatto con noi stessi, con il nostro corpo e solo dopo avremo di nuovo tutti i ricettori attivi per comprendere che la terra è sempre stata lì, siamo noi che ci siamo assentati un attimo.
Buon viaggio a tutti, soprattutto a chi sta iniziando una nuova fase della propria vita e si sente un pò smarrito.

Tranquilli, le nuvole servono come serve la pioggia, ma poi vanno via e il sereno ritorna.