Siamo noi stessi i limiti per i nostri sogni, al pari di quanto siamo noi stessi i geni che li potranno esaudire.

Roberta la Viola

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giovedì 28 febbraio 2013

Teneri nidi, gabbie maledette.

Qual è il posto che sentiamo più sicuro?
Qual è il luogo in cui spesso ci andiamo a rifugiare?
Qual è il posto da cui spesso attuiamo la fuga?

Lo dico io?

La famiglia! (o la famigghia!)

Sì, la famiglia, il posto in cui andiamo a rifugiarci quando sentiamo di voler "tornare".
Ma anche il posto da cui spesso sentiamo di voler fuggire...

La famiglia, qualunque essa sia, qualunque siano le dinamiche che la caratterizzino, rimane quel nido meraviglioso in cui andiamo a cercare riparo, la sua ambivalenza però la rende anche la gabbia da cui cerchiamo di fuggire perché ci sentiamo stretti.

Viviamo quel senso di "differenza", sentiamo la vicinanza e la lontananza, l'amore e il peso dei ruoli, il senso di appartenenza e la voglia di fuggire.

Insomma, chiunque, prima o poi ha desiderato la fuga, chiunque ha sognato il ritorno.

La famiglia forse rappresenta il nostro andirivieni interiore, il nostro modo di aprirci e chiuderci a noi stessi e agli altri.
Ognuno trova i suoi modi di "stare" in questo nucleo zeppo di contraddizioni, nessuno giudicabile, solo spesso migliorabile.
Avete mai provato ad osservare che tipo di comunicazione intercorre tra voi e i vostri familiari?
Provate ad immaginare di essere seduti al divano mentre guardate un film che racconta le vicende della famiglia, la vostra.
Che ve ne pare?
Come comunicano gli attori della scena tra di loro? Vi piace? O cambiereste qualcosa?

Pensate ora a cosa vi piacerebbe vedere cambiare, e pensate a come potreste farlo ...


"Se vuoi cambiare il mondo devi iniziare dal tuo paese.
Se vuoi cambiare il tuo paese devi iniziare dal tuo villaggio.
Se vuoi cambiare il tuo villaggio devi iniziare dalla tua casa.
Se vuoi cambiare la tua casa devi iniziare da te stesso."

C'è forse altro che possiamo aggiungere?!


venerdì 22 febbraio 2013

Due

Il post di oggi è un invito all'armonia, un'ode ad essa.

Il post di oggi è la consapevolezza che "siamo in due", anche se qualcuno può pensare di essere in tre o in quattro o in cinque o ....

Insomma quello che scrivo oggi, anzi quello che decido di non scrivere, ma di trascrivere, è un inno all'armonia ricercata, all'equilibrio spesso l'abile dei "due" che albergano in ognuno di noi.

Afferma S. Gilligan: "..due sè che ciascuno di noi eredita in quanto essere umano ... E' una relazione di dominio e sottomissione, o si tratta piuttosto di una coesistenza armonica al nostro interno? Quando le due menti coesistono in armonia il vostro viaggio dell'eroe può veramente aprirsi nel mondo."

Gilligan decide di continuare il suo intervento citando una poesia di Derek Walcott, ed è quanto decido anche io oggi in questo piccolo spazio virtuale:

Amore dopo amore

Il giorno verrà
In cui gioioso
Accoglierai te stesso,
alla tua porta, nel tuo specchio
E ciascuno sorriderà all'altro accogliendolo,

e dirà: Siediti. Mangia.
Amerai di nuovo lo sconosciuto che eri tu stesso.
Dai vino. Dai pane. Restituisci il tuo cuore
A se stesso, allo sconosciuto che ti ha amato

Per tutta la tua vita, che hai ignorato
Per un altro, che ti conosce a memoria.
Tira giù dalla libreria le lettere,

le foto, i biglietti disperati,
strappa via la tua immagine come una pelle dallo specchio.
Siediti. Fai della tua vita banchetto.


Meraviglia della poesia, descrivere con poche parole lo stato in cui spesso vivamo, l'altalena dei nostri due sè.
Le nostre due menti che "battagliano" spesso tra di loro.
polarità.jpg
Quanto spesso diciamo: sento che una parte di me farebbe così, ma l'altra mi dice che è sbagliato."

Questo battagliare, nelle parole di Walcott, come in quelle di Gilligan, diventa un invito alla "pace" interiore, l'unione dei due sè, l'armonia che diventa necessaria per compiere il mio viaggio, quello della mia vita.
Smettere di battagliare nel mio interno significa capire quale strada, all'esterno, voglio intraprendere, significa vedere e accettare che quella è la mia strada.

Buon viaggio.

mercoledì 6 febbraio 2013

Trascinarsi.

Oggi mi chiedo, quanto spesso ci trasciniamo?

Ci trasciniamo in relazioni che ci logorano nel profondo, svuotandoci di tutte le buone abitudini e innescandone di nuove e meno edificanti.
Ci trasciniamo in rapporti lavorativi che ci svuotano di tutte le passioni che un tempo nutrivamo nel nostro futuro, anche solo ad immaginarlo.
Ci trasciniamo nella non cura di noi stessi, ripetendo abitudini che ci lasciano scontenti del nostro essere, quando ci ricordiamo di guardarci.

Insomma, qualunque sia l'area in cui volenti o nolenti ci stiamo trascinando, c'è sempre qualcosa che perdiamo, la parte migliore del nostro essere.
Qualcosa che riguarda noi stessi, in maniera profonda.
Così se riusciamo a smettere di trascinarci, se con un colpo decidiamo di riprendere in mano le sorti della nostra vita, decidiamo di godercela tutta.
Come se gli ultimi anni fossero stati vissuti in una prigionia, che noi stessi abbiamo scelto, trascinandoci.

Perché lo facciamo?
Tante risposte, tante dinamiche che possono trovare risposte in radici lontane nel tempo e nello spazio.
Ciò che conta è capire che è il tempo di smettere di trascinarci, non è facendolo che torneremo a vivere.
La paura dell'incerto?
Non dovrebbe farmi più paura ciò che mi sta logorando?

lunedì 4 febbraio 2013

Etichette





Quante ne mettiamo?
Quante ce ne sentiamo addosso?
Un'infinità? O forse poche?
Cosa intendo con il termine etichette?
Troppe domande? Ops, eccone un'altra, quindi iniziamo a rispondere...

Mi riferisco al modo che abbiamo di catalogare il mondo intorno a noi.
Tutti mettiamo etichette qua e là.
Lo facciamo perché è scritto nel nostro dna, nel nostro modo di operare nel mondo, abbiamo bisogno di riconoscere ciò che vive intorno a noi, il pensiero scientifico, in generale, ne è una dimostrazione.
Ma quanto queste etichette possono diventare delle gabbie, dei rifugi o anche semplicemente delle convinzioni che non mi piacciono?

Sono dei rifugi, quando "Beh, lo sapete che sono così...., quindi non ci fate caso!".
Allora diventano dei posti in cui ci andiamo a nascondere quando non vogliamo migliorare qualche aspetto, anche se a guardarlo bene ci crea qualche problemino.

Oppure sono delle gabbie, quando me le sento addosso e in realtà non me le sento:
"Mi dicono tutti che sono ...., quindi agisco in questo modo".
Il sottotitolo, quello che non si vede, è "sono convinta di avere questa caratteristica perché  sono anni che mi ripetono che ce l'ho", se andassi fino in fondo, mi potrei rendere conto che io non c'entro nulla con tutto quello che mi hanno affibbiato per anni, ma in qualche modo ormai fa parte di me, e quindi  me la tengo.
Pensate a qual è la cosa che vi hanno detto più spesso da bambini, non so, magari vi è stato detto molte volte che eravate allegri o anche musoni o intelligenti.
La frase che più spesso si sente dire ad un bambino, o parlando di lui, è:
 "Mio figlio è monello!"
o:
 "Sei monello!".
Insomma pensate bene a ciò che più spesso vi siete sentiti dire da una certa età in poi.
Qual è la caratteristica che più spesso vi è stata attribuita?
Ora che l'avete trovata, pensate, è proprio vostra?
Quanto vicina a voi è questa caratteristica, quanto sentite che possa descrivervi veramente?

Insomma le etichette di cui parlo sono quelle che ci aiutano ad orientarci, sì, nel mondo intorno a noi, ma sono anche quelle che, messe alla rinfusa possono creare un pò di confusione.

Immaginiamo di entrare in uno studio ben organizzato, in cui tutte le librerie e gli scaffali presenti abbiano anche i loro contenitori, i quali hanno, al posto giusto, le etichette su cui sono riportate le indicazioni relative al contenuto.
Se dovessimo cercare qualcosa in questo studio, non ci metteremmo poi tanto tempo, diciamo che, se anche fossimo là per la prima volta, avremmo buone possibilità di trovare ciò che cerchiamo, o anche solo di capire come le cose siano sistemate.

Ma proviamo ad immaginare di entrare in uno studio dove, seppur con tutti gli elementi precedenti, le etichette ci indichino cose che non ci sono, il contenuto riportato non corrisponda a ciò che di fatto vi è dentro ciascun contenitore.
Beh, certamente sarà meno probabile riuscire a trovare ciò che cerchiamo e sicuramente potremmo andare in confusione.

Dove voglio arrivare?
Organizzare, etichettare a volte è molto, molto utile, ma se fatto a malo modo, quanto può essere dannoso?
E se questo è riferito ad altro, che non siano contenitori presenti in uno studio, se le etichette le abbiamo messe addosso a qualcuno? O qualcuno le ha messe addosso a noi?

Qui potrebbe nascere un'infinità di riflessioni, in ogni direzione.

Quali saranno le vostre è un gioco divertente che potrete fare anche da soli.

Il consiglio è: utilizzate le etichette, perchè vi aiuteranno ad orientarvi come sempre fatto, ma badate bene che usarne impropriamente o a casaccio può essere un gioco controproducente.

Il rischio più grosso potrebbe essere quello di non conoscere peculiarità nascoste, come quelle che le etichette messe addosso a voi, da altri, hanno nascosto, spesso anche ai vostri occhi.

Oppure, è come se nelle scatole del secondo studio vi fossero tesori che non aprirete mai, del resto le etichette vi dicono che non ci sono!