Siamo noi stessi i limiti per i nostri sogni, al pari di quanto siamo noi stessi i geni che li potranno esaudire.

Roberta la Viola

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lunedì 12 agosto 2013

Paura di scegliere.



La paura, un argomento già trattato nelle pagine di Effetto Coaching.
Ci ritorno perché sempre più spesso incontro persone che vivono una situazione di "paralisi" proprio perché ciò che stanno provando è paura.

Ma chi non conosce questo stato emotivo?
Anche il più coraggioso prima o poi si è trovato a sperimentare questa strana emozione che non ci permette di scegliere e sentirci liberi di agire.
Cosa succede allora se ciò che facciamo è rimanere invischiati in questo stato emotivo?
Purtroppo quasi niente, purtroppo, come si diceva, il rischio maggiore è proprio la paralisi.
C'è chi ha paura delle proprie scelte, chi sente la scissione, i due inquilini interiori che tirano da un lato e dall'altro come se fosse un tiro alla fune.
Quanto spesso sentiamo di essere proprio la fune che viene tirata a destra e a sinistra, senza cedere  né troppo da un lato né troppo dall'altro?
E chi sono quei due che ci lasciano in balia delle loro spinte?
Così siamo quasi in equilibrio, solo che è un equilibrio spiacevole, un equilibrio che non ci fa stare tranquilli perché in realtà non decidiamo nulla, se non il rimanere tra le spinte di questi due.

Insomma, alla fine chi vincerà questa partita di tiro alla fune? Certamente io, visto che sono sempre io che tiro, una volta a destra e una volta a sinistra.

Ma allora come faccio a sapere ciò che voglio veramente?

Ci sono tanti modi per scoprirlo, ma ciò che conta sapere è proprio che quei due, che sembrano i famosi "angioletto" e "diavoletto" raccontati dagli adulti ai bambini, sono entrambi parte di me.
Devo solo riuscire a metterli d'accordo, farli incontrare a metà strada per chiacchierare pacificamente, permettere che si confrontino per poi mettersi d'accordo.
Del resto, entrambi vogliono il proprio bene e visto che si tratta sempre di me, alla fine ciò che sceglierò sarà comunque il mio bene.

Allora la frase "se tornassi indietro, oggi farei ..." non ha molto senso, anzi è un contro-senso, come faccio a tornare indietro e pensare contemporaneamente di decidere una cosa del passato oggi?
Chissà quante cose sono cambiate da quando ho preso quella decisione, chissà quanto io sono cambiata da quando ho scelto di agire in quel determinato modo.
Rimane solo un fatto, scegliere consapevolmente e il futuro sarà certamente ricco di nuovi spunti e anche di ripensamenti, ma tanto scegliere nel futuro qualcosa del passato, oltre che impossibile, è inutile!

Metti d'accordo i tuoi inquilini, lascia che si confrontino, sceglieranno in accordo il bene di entrambi, quindi  il tuo.

Questo post è dedicato a tutti quelli che rimangono immobili nella paura di scegliere, a tutti quelli che hanno deciso di chiudere un capitolo importante della loro vita, ma ciò che li spaventa maggiormente è il nuovo che avanza.
E' dedicato a chi sente la responsabilità della scelta, consapevole che questa coinvolgerà anche la vita di qualcun'altro, e proprio questa consapevolezza trascina la mente e il cuore in un mare di dubbi.
E' dedicato a tutti quelli che hanno deciso di liberarsi, scegliendo.
Infine è dedicato a R., G. e B.


mercoledì 7 agosto 2013

ParolaNuda



E' da tempo che penso di inserire, accanto alla sezione "In prestito da ...", una parte dedicata all'approfondimento di termini che spesso utilizziamo e, proprio la frequenza con cui lo facciamo, in qualche modo, ci lascia sfuggire il significato originario del termine stesso.
Vorrei quindi inaugurare questo nuovo spazio virtuale, nel quale semplicemente riporterò le definizioni di termini meritevoli, secondo me, di riflessione e approfondimento, o anche solo di una semplice rilettura.
Definizioni a volte prese da più fonti e ritagliate qua e là, diciamo una sorta di selezione personale che possa aiutare a "spogliare" la parola e renderla "nuda" nel suo splendore, per arrivare in fondo al suo significato originario.
 In un'epoca in cui lo spogliarello dei corpi è diventato banalità, decido di spogliare le parole per il desiderio e l'esigenza di riflessioni più profonde e parole meno abusate.
Decido di spogliare le parole perché credo che la loro conoscenza profonda possa aiutare la comunicazione interpersonale, spesso le discussioni tra le persone nascono da malintesi e troppo spesso questi malintesi riguardano anche le parole utilizzate che compongono i messaggi inviati all'altro.

Arrivo al dunque ed inauguro, dando il nome a questo nuovo spazio:  "ParolaNuda".

Aggiungo infine che, così come per lo spazio virtuale "In prestito da ...", mi piacerebbe ricevere il contributo di chi legge, affinché le riflessioni possano nascere da più menti e non solo dalla  mia, pertanto inauguro questo spazio con la speranza che possiate inviare anche voi le vostre "ParoleNude".

Ed ecco a voi la prima "ParolaNuda", il primo spogliarello:

Empatia
Capacità di porsi nella situazione di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro. Con questo termine si suole rendere in italiano quello tedesco di Einfühlung.
Empatia significa sentire dentro, ed è una capacità che fa parte dell’esperienza umana ed animale.
Si tratta di un forte legame interpersonale e di un potente mezzo di cambiamento.
Il concetto può prestarsi al facile riduttivismo mettersi nei panni dell’altro, mentre invece significa andare non solo verso l’altro, ma anche portare questi nel proprio mondo.

venerdì 2 agosto 2013

La chiamano responsabilità.

E chi ce l'ha?
Qualcuno ne ha troppa, sfociando nel senso di colpa, qualcuno ne ha troppo poca, sfociando nella negazione a tutti i costi.

Conosco persone che si caricano di troppa responsabilità, che si sentono la causa di tutto e arrivano con questo anche a sviluppare quel tanto caro senso di colpa.
Conosco persone che invece non riescono e non sono mai riuscite a dire la difficile frase "mi dispiace".

C'è chi dice che dietro questa de-responsabilizzazione ci sia un retaggio culturale, che da bambini ci inculcano anche solo con un gioco.
Cado dal letto e l'adulto mi dice "Cattivo letto! Che ha fatto cadere questo angioletto."
In questo modo e in tanti altri modi insegno al bambino a non chiedersi cosa di diverso poteva fare lui per non cadere. Sì, è un gioco, ma se è ripetuto tante e tante volte, almeno quante sono le cadute in cui incappa un bambino, non è difficile immaginarne la portata degli effetti e delle conseguenze.

Conosco persone che di fronte ad un chiarimento con un'altra persona, si perdono nelle giustificazioni del loro comportamento, evitando fino in fondo il confronto con la situazione.

E' vero, ognuno di noi vive a proprio modo la realtà, ed è vero che ognuno di noi cerca di stare nel miglior modo possibile nella propria realtà, a volte anche a discapito dell'ammissione delle proprie responsabilità sulle conseguenze e, a volte, anche rinunciando a quell'onestà che permetterebbe di vivere davvero serenamente anche i propri "errori".

Anche qui, a riguardo degli errori, da bambini ci insegnano che sbagliare è una cosa grave, che è una cosa che porta a volte ad una punizione, penso al bambino che cade e che  in certi casi prende la sberla dal genitore, quindi la domanda è: che cosa insegniamo ai nostri figli quando, fino ad una certa età lasciamo che sia addirittura colpa dell'oggetto, il letto, ad averli portati alla caduta e poi da una certa età in poi se cadono si beccano uno scappellotto?

Chi si confronta con i propri errori, riuscendo a tenersi in "equilibrio" con la propria realtà?

Perché proprio come gli adulti, fino ad una certa fase della nostra vita, ci hanno fatto vedere, la realtà può essere modificata a tal punto che un  letto può farci uno sgambetto.
E altrettanto abbiamo imparato che far vedere a qualcuno che abbiamo sbagliato può essere grave, tanto da poter arrivare alla violenza fisica.
Sarà forse anche per questo, che impariamo prima a modificare la realtà, poi a nasconderla e quasi mai ad accettarla, non ammettendo che con il nostro comportamento inviamo all'altro un messaggio, che certamente delle reazioni provocherà.

Allora l'errore diventa risorsa solo quando riesco ad accettarlo e prima ancora a vederlo, a prenderlo, a farmene carico, senza per questo cadere nel senso di colpa, e rielaborarlo per trarne da quell'esperienza qualcosa di nuovo e possibilmente di migliore.

Ho imparato, dal confronto con gli altri, che la colpa può diventare responsabilità, che mai va intesa come il cilicio sulla schiena.
La responsabilità equivale con la causatività, e questa corrisponde al poter tenere il telecomando in mano, non quello che mi fa accendere l'elettrodomestico in casa, ma quello che mi fa accedere alle mille risorse che lascio spesso inespresse, che fanno parte di me e della mia vita, ma soprattutto fanno parte del mio stare al mondo.
Il telecomando che mi fa decidere chi voglio essere, il telecomando che mi fa relazionare con gli altri, sapendo che ho una responsabilità, mentre mi muovo nella sfera immensa delle relazioni.
Il telecomando che non mi fa aspettare che siano gli altri a decidere per me.
Il telecomando che mi fa capire che io sono presente a me stesso e agli altri con la responsabilità delle mie azioni e del mio dire.
Il telecomando che mi ricorda che io sono protagonista di ciò che vivo al pari degli altri.
Spesso lasciamo il telecomando, o meglio, spesso siamo convinti di non aver partecipato alla scena che si è appena girata, e proprio per questo ciò che facciamo è lasciare il telecomando nelle mani dell'altro.
Quando procediamo in questo modo, ci convinciamo che noi non abbiamo causato niente, che ciò che abbiamo vissuto è solo frutto delle azioni o delle decisioni altrui e che il nostro è stato solo reagire.

Come diceva quell'attore, "M'hai provocato? E mo' te magno!"
Dunque, la domanda è: vogliamo essere liberi di dire, fare e pensare?
Certo che lo siamo, altrettanto certo che ognuno di noi alla nascita venga dotato del suo telecomando.
Solo che poi le scelte che facciamo implicano tante possibili risposte, tante quante sono le differenze tra le persone con cui entriamo in relazione, e tra quelle risposte sono incluse anche quelle che non ci piacciono.

Questo post è dedicato a chi si perde per poi ritrovarsi, a chi ha voglia di migliorare per se stesso e non per gli altri, a chi è capace di confrontarsi con i propri errori e affrontarli, a chi sa che c'è sempre almeno una scelta, anche se decidiamo di non scegliere.
A chi  è consapevole, nel bene e nel male.
A chi ha smesso di pensare che Jessica Rabbit sia così solo perché qualcuno l'abbia disegnata in quel modo.
Infine è dedicato a M. che aspettava un nuovo post da maggio.